ROSARNO: CAPORALATO; SI EVOLVE, OGGI CONOSCE NORME LAVORO
Buona conoscenza delle norme del lavoro, delle quali fa
un uso sempre più spregiudicato: è in "giacca e cravatta" il nuovo
caporalato, che usa sempre più immigrati e aumenta la propria "quota di
mercato". L’agricoltura è il settore più esposto alla pratica del
caporalato e del lavoro nero: secondo gli ultimi dati Istat il tasso di
irregolarità è cresciuto dal 20,9% del 2001 al 24,5% del 2009. Più
pesanti le stime dei sindacati. Secondo la Flai-Cgil la componente di
lavoro nero in agricoltura è del 90% al Sud, del 50% al Centro e del 30%
al Nord.
Inoltre, sempre secondo i sindacati, sarebbero circa 60.000 gli
extracomunitari che vivono in condizione di degrado simili a quelle
riscontrate a Rosarno in Calabria; 70.000, secondo la Cia-Confederazione
italiana agricoltura, i lavoratori sfruttati e senza diritti. Quanto
alla figura del caporale che in passato era presente nelle campagne del
Mezzogiorno addetto al controllo mafioso e alla gestione dei braccianti
ha oggi subito una evoluzione.
La Flai-Cgil parla di "caporalato etnico" perché appunto legato alla
gestione illegale dei lavoratori extracomunitari. Il nuovo caporale è in
giacca e cravatta, conosce molto bene la legislazione del lavoro e
dell’immigrazione e si rivolge alle aziende agricole per proporre in
appalto manodopera ad un costo decisamente competitivo cioé retribuita
con moneta del paese di provenienza del lavoratore e senza alcun obbligo
previdenziale. Il "caporalato etnico" – sottolinea la Flai-Cigil – si
distingue in due diverse forme, soft o aggressivo.
E’ soft quel caporalato gestito da chi conosce la legislazione
vigente e la usa ad arte. Offre manodopera da impiegare nelle diverse
fasi colturali ad un costo decisamente competitivo. E’ aggressivo quel
caporalato che s’inscrive, invece, tra le attività criminali con
caporali inseriti nei circuiti mafiosi e malavitosi. Drammatiche –
rileva la Cia – Confederazione italiana agricoltura – sono le condizioni
di vita dei lavoratori soggetti al caporalato a partire da una
‘retribuzione’ che non supera i 15-20 euro al giorno.
Il 40% di loro vive in edifici abbandonati e fatiscenti, oltre il 50%
non dispone di acqua potabile, mentre il 30% non ha elettricità e il
43,2% manca di servizi igienici. Si tratta, soprattutto, di giovani di
età compresa tra i 16 e i 34 anni, provenienti principalmente
dall’Africa sub-sahariana, ma anche da paesi dell’Est europeo (in
particolare, da Romania e Bulgaria). Tragica la stima secondo al quale
l’80% di questi lavoratori non ha mai avuto accesso a cure sanitarie con
crescente diffusione di patologie legate alla durezza del lavoro nei
campi e all’assenza di tutele e di sistemi di prevenzione adeguati.
http://www.ansa.it/legalita/rubriche/cronaca/2010/04/26/visualizza_new.html_1766361370.html