Firma l’appello per i lavoratori africani di Rosarno!

 
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Appello per i lavoratori africani di Rosarno
COSA SUCCEDEVA IERI 

Ogni anno, in
autunno, fino a buona parte dell’inverno, migliaia di lavoratori stagionali,
prevalentemente africani, vanno a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, per
la raccolta degli agrumi. Clandestini o
regolari, rifugiati o richiedenti asilo, tutti si radunano nel cuore della
piana di Gioia Tauro, 2000, forse 3000, ogni anno, da almeno vent’anni. Sono
vecchi residui di impianti mai entrati in funzione, nelle tre aree industriali
della piana, ad ospitarli. Senza elettricità, senza riscaldamento, stipati
dentro capannoni col tetto d’amianto, in ricoveri di cartone che spesso
prendono fuoco… in centinaia, per ognuno di questi fatiscenti lager, a
contendersi pochi sebach e un rigagnolo d’acqua.

Ogni mattina
si alzano prima dell’alba e vanno sulla statale, a gruppi di tre, cinque,
dieci… alla prima macchina che si ferma sgomitano e scappano per conquistarsi
una giornata di sfruttamento nei campi. Invisibili
per lo Stato, che sa della loro presenza e ostenta indifferenza, lo sono
anche per l’economia ufficiale. Un’economia, quella agricola di questa e altre
zone, che non potrebbe mai fare a meno del loro contributo e sopravvive con
l’acqua alla gola solo mandando loro giù, negli abissi del lavoro nero.

Sono gli
stessi che durante l’estate raccolgono i pomodori in Campania, in Puglia, in
Sicilia… sono l’indispensabile sostegno di un’agricoltura in crisi: senza di
loro, non ci sarebbe scampo per gli agricoltori, piccoli, medi e grandi,
costretti a vendere i propri prodotti ai bassi prezzi imposti dalla grande
distribuzione.

Nel dicembre del 2008, un Ivoriano ed un ghanese vengono gravemente feriti a colpi di arma
da fuoco. Segue nei giorni successivi una protesta per le strade della
cittadina calabrese. Denunciano i loro
aggressori uscendo dall’invisibilità e allo stesso tempo denunciano al
mondo la condizione di servitù cui sono costretti. Per un anno, i giornalisti
di tutto il mondo andranno a conoscere e documentare “l’inferno di Rosarno”. Persino
un ministro dal pugno di ferro, il leghista Maroni, dirà che la situazione è
intollerabile e prometterà interventi risolutori, annuncerà stanziamenti del
Viminale, soldi dello Stato per migliorare le condizioni di vita degli africani
di Rosarno. Ma nulla cambia.
Continua il freddo, continua la fatica, continua lo sfruttamento. Continuano le
aggressioni e aumentano l’odio e l’intolleranza da parte del blocco sociale
armato dominante verso questi reietti che hanno osato ribellarsi a un giogo
soffocante e pervasivo, che deve sottomettere tutti, italiani e non. 

Un anno dopo, a migliaia,
come ogni anno, tornano nella piana. Più degli altri anni, complice la crisi
economica, in moltissimi confluiscono in mezzo agli agrumeti che sempre più
numerosi restano intonsi, perché per molti proprietari raccogliere non conviene
più. Aumentano le braccia, diminuisce il
lavoro e queste persone vivono sempre più ammassate, in condizioni sempre
più esasperanti. Ma va bene così. Tutto normale. Una sola cosa continua a stupire,
per primi i responsabili di pubblica sicurezza. Com’è possibile che in queste
condizioni, in tanti anni, soprattutto quest’anno, questa comunità di reietti
sfruttati non venga coinvolta in fenomeni di criminalità e violenza? Gli
africani sono gente mite, riferiscono ai giornalisti alcuni funzionari. Gli
africani sono gente onesta, viene da aggiungere a qualcuno, ai pochi che li
aiutano nel totale abbandono delle istituzioni.

Il 7 gennaio 2010, a Rosarno, alcuni lavoratori africani
vengono presi di mira con un fucile ad aria compressa, sparati da una macchina
di passaggio come fossero belve da colpire durante un safari. Ne segue una rivolta che segnerà il punto di non
ritorno di una spirale che per tre giorni, a Rosarno, sfiorerà la guerra
civile. In due, forse trecento si riversano da più punti dentro il paese a
protestare, a urlare, a distruggere nei beni degli italiani quella stessa
ricchezza ch’è anche frutto del loro lavoro. Alla rabbia dei lavoratori
africani risponde la rappresaglia guidata dalle cosche locali, coinvolgendo
parte della popolazione in pratiche di aggressione sistematica all’uomo nero
che rasenteranno il linciaggio di massa. Dopo le cariche di polizia e
carabinieri, bande di bastonatori e singoli cecchini prenderanno di mira ogni
uomo nero in circolazione fino a che il governo deciderà che l’evacuazione di
tutti i lavoratori è l’unica soluzione possibile.

Italia, Europa, 8 gennaio 2010 il Governo della Repubblica deporta migliaia di persone dal proprio luogo di vita e lavoro,
solo in base al colore della pelle, e dichiara Rosarno off limits per la gente
di colore.

COSA SUCCEDE OGGI 

Questione
risolta. Torna la calma a Rosarno. La polizia presidia le strade poco tempo
prima gremite da ragazzi africani in cerca di lavoro. Le strutture che
offrivano loro dimora vengono demolite, spazzate via come un ricordo scomodo da
rimuovere, o meglio: come prove di un delitto da nascondere. I lavoratori
africani tornano invisibili, tranne alcuni dei numerosi feriti, gli 11 che non
possono evitare il ricovero. Solo per
questi, il Ministero degli Interni concederà un permesso umanitario di un
anno soggetto a rinnovo. Come se fossero gli unici ad aver subito una violenza.

Disperse,
senza neppure i pochi beni che hanno dovuto abbandonare, senza casa, senza
soldi, senza lavoro, senza diritti, invisibili e inermi, queste persone vagano
oggi per le città d’Italia, esposte al freddo e alla fame, senza nessuna
prospettiva. Vittime di una violenza continua e crescente e implicitamente
ritenuti colpevoli di aver alzato la testa. Osteggiati da un’opinione pubblica
razzista. Puniti dalla violenza della ‘ndrangheta. Puniti dallo Stato, che
dichiara Rosarno quale nuovo modello per interventi prossimi venturi nelle
situazioni simili sparse per il territorio nazionale.

 

Non possiamo permettere che questo accada.

Non possiamo permettere che ciò si ripeta.

Non possiamo permettere che il silenzio torni a
coprire come una coperta di piombo la drammatica realtà umana e sociale di
questi lavoratori.

Non possiamo permetterci l’indifferenza di fronte a
un momento così buio della nostra democrazia.

 

Un centinaio
di loro si trovano a Roma. Ospiti di alcune realtà di movimento, hanno
costituito la prima Assemblea dei lavoratori africani di Rosarno a Roma. Sono
usciti ancora una volta dall’invisibilità, decisi a non tornarci più, a
rivendicare i propri diritti, ad illuminare e rivelarci i punti più oscuri del
nostro sistema politico ed economico. Sono stati ricevuti dalle istituzioni,
che hanno così riconosciuto la loro esistenza e quindi il loro diritto a
ricevere risposte.

La regolarizzazione prima di tutto! Questo chiedono, questo devono ottenere.

Nella
solidarietà generalizzata ch’è dovuta a loro come a tutti gli altri e tutte le
altre, donne e uomini, che vengono cinicamente utilizzati come regolatori verso
il basso dei rapporti di lavoro. Strumenti incolpevoli di un ricatto sociale
generalizzato che utilizza la crisi per aumentare i profitti e depotenziare
ulteriormente la forza contrattuale di tutti i  lavoratori.

 

È preciso dovere
di tutte le organizzazioni democratiche, di tutte le realtà associative, di
tutte le istanze sociali e politiche di questo paese, di tutti i cittadini
italiani mettersi insieme a queste persone, aggiungere la propria voce alla
loro, sostenerli nel cammino che hanno cominciato.

Dare loro
accoglienza. Combattere con loro per il diritto ad esistere, il diritto ad avere diritti.

 

Come realtà
antirazziste che si sono mobilitate in seguito ai tragici fatti di Rosarno e
successivamente hanno trovato nella presenza degli africani di Rosarno a Roma
l’occasione per rimediare, qui e ora, ai tanti torti subiti, ci appelliamo a tutta la società civile
per la creazione di una rete di solidarietà che rivendichi con forza dalle
istituzioni italiane quanto spetta di diritto a queste persone:

 

PER UN’ACCOGLIENZA IMMEDIATA DEI LAVORATORI AFRICANI DEPORTATI DA
ROSARNO E UNA SOLUZIONE STABILE CHE ESCLUDA IL RICORSO A STRUTTURE
CONCENTRAZIONARIE COME I CIE E I CARA 

PER L’IMMEDIATA REGOLARIZZAZIONE DI QUESTE PERSONE CHE IMPEDISCA IL
LORO RITORNO NELLE MAGLIE DELLA SCHIAVITU’ SILENTE

PERCHE’ A QUESTI LAVORATORI PRIVATI DEL PROPRIO IMPIEGO VENGANO OFFERTE
POSSIBILITA’ DI LAVORO DIGNITOSE E TUTELATE

 

 

Rete Antirazzista Romana

 

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