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Rosarno due mesi dopo: per non dimenticare
“Non esistiamo per le autorità di questo paese” denunciano gli immigrati

di Claudia Attolico
Che fine hanno fatto gli immigrati di Rosarno? Spaventati, attaccati ma ancor più precisamente, deportati. E’ proprio Mons. Pino Demasi, Vicario Generale della Diocesi di Oppido-Palmi, ad usare questa parola dura per definire la situazione dei lavoratori stagionali costretti, dallo scorso gennaio, a fuggire da Rosarno in seguito agli scontri a sfondo razzista. Principale imputata nella vicenda la grande, potente e radicata ‘Ndrangheta calabrese, forte dell’appoggio dei politici e di una regione che ha completamente abdicato al controllo a favore di questa associazione mafiosa. 
Dopo l’incendio del capannone molti immigrati sono stati spostati nei centri CIE (Centri di identificazione ed espulsione) di Bari e Napoli. Oggi a Bari ce ne sono all’incirca quaranta, e sono pronti a raccontare a tutti la loro storia. Una storia di sfruttamento, maltrattamento e pessime condizioni di vita. Nessun rispetto per la loro dignità di esseri umani. “Bisogna sentire un senso di responsabilità. – asserisce Don Gianni De Robertis, parroco della Parrocchia San Marcello e referente locale della fondazione Migrantes – Ci sono 2500 persone che vivono in queste terribili condizioni solo nella piana di Gioia Tauro. Dobbiamo trovare una soluzione.” 
I ragazzi finiti in ospedale a seguito degli scontri hanno ottenuto, per concessione del ministro Maroni, il permesso di soggiorno per motivi sanitari, ma c’è ancora molto da fare per tutti gli altri ancora in territorio italiano. Mons. Demaso è oggi a Bari per portare testimonianza della sua esperienza, per denunciare la disumanità con cui queste persone sono costrette a vivere, per raccontare la verità della sua regione, fatta di mafia e di politica corrotta. Ma soprattutto per non dimenticare. E così si fa portavoce anche del Comunicato dell’Assemblea dei Lavoratori Africani di Rosarno a Roma, riunitisi per rivelare le loro atroci condizioni di vita. Scrivono: “eravamo bastonati, minacciati, braccati come le bestie […] Non potevamo più attendere un aiuto che non sarebbe mai arrivato perché siamo invisibili, non esistiamo per le autorità di questo paese.” La richiesta del Comunicato è l’ottenimento del permesso di soggiorno, ma con questa unica motivazione: veder riconosciuta la loro dignità. 
“Dobbiamo riuscire a coniugare legalità, accoglienza e solidarietà – ricorda Mons. Pino Demasi – Nella piana di Gioia Tauro il controllo è nelle mani della ‘Ndrangheta, non solo tra gli affiliati: anche la gente è succube. C’è una connivenza tra mafia e politica: la politica accumula capitali per la ‘Ndrangheta, ed in cambio ottiene voti. Negli scontri di Rosarno non c’è stato razzismo, la gente non ha avuto paura degli immigrati, ma della mafia.” 
Ieri sera alle 20, nell’auditorium della Parrocchia di San Marcello c’è stato un incontro durante in quale un immigrato di Rosarno proveniente dal Gana, Richard, ha raccontato la propria esperienza. Lui ha denunciato l’accaduto ed attualmente è sotto protezione. 
Non si può che concludere con le parole del Santo Padre, che lascia un monito ed uno spunto di riflessione per tutti: “Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura e tradizioni, ma è una persona da rispettare con diritti e doveri.”
http://www.barilive.it/News/news.aspx?idnews=16422

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